Stendhal la detesta, i diaristi la intrecciano con le lacrime, i sovrani e i capi di Stato ne fanno un uso politico, rinunciando all’ombrello nelle cerimonie ufficiali per condividere con il popolo le avversità atmosferiche. Invocata in tempi di siccità, la pioggia suscita la paura dell’eccesso, delle alluvioni e dei diluvi, ma è solo alla fine del Settecento che la sensibilità individuale nei suoi confronti si intensifica; lo sforzo di guardare in alto per cogliere i segni della collera divina o dell’intervento diabolico viene vanificato dalla «secolarizzazione del cielo» e poi dalle previsioni meteo. Una lunga storia che Alain Corbin riassume in questo libro, con l’avvertenza, sulla scia di Roland Barthes, che «niente è più ideologico del tempo che fa».